
Pollicino aveva le briciole, Teseo il filo d’Arianna. E, ammettilo, anche tu usi Maps. Perché quando la strada è complicata, piena di bivi, diramazioni e variabili, tutti hanno bisogno di sapere qual è la direzione giusta da seguire. Ma se il percorso di cui parliamo è quello d’acquisto, chi può dirci qual è la via da percorrere e come possiamo influenzarla?
Esatto, parliamo di Funnel, ossia quello schema a forma di imbuto che rappresenta in che modo è possibile guidare i clienti nella scelta di un prodotto, dalla consapevolezza della sua esistenza fino al vero e proprio acquisto. E, in effetti, gli unici due punti chiari e indiscutibili sono proprio la partenza – ossia il trigger, il primo stimolo che innesca tutto – e l’arrivo – ossia la decisione effettiva.
Cosa succede in mezzo?
Un’intricata rete di touchpoint che cambia da persona a persona (anzi, buyer persona) e che, oggi – complice l’emergenza Covid che ha accelerato ancora di più la digitalizzazione – viene influenzata da agenti esterni difficili da prevedere. Un esempio: chi di noi, prima di fare un acquisto, non fa una ricerca online per leggere recensioni e confrontare prezzi? Ecco, questo è un esempio di destrutturazione del processo, perché aumenta le possibilità del cliente e rende più complesso il Customer Journey, dandogli dei touchpoint inaspettati.
Google deus ex machina
È così che Google concepisce il Messy Middle, ossia un modello, un paradigma che definisce il nuovo percorso decisionale degli utenti, elaborato con l’aiuto di esperti nel campo delle scienze comportamentali, analisi sulle tendenze di ricerca e un esperimento su larga scala con acquirenti reali e 310.000 simulazioni di scenari di acquisto in varie categorie merceologiche. Cos’è venuto fuori da queste ricerche? Che tra il primo trigger e l’acquisto finale… regna sovrano il caos!
Ma anche il disordine ha la sua logica
Un po’ come dicevamo noi ai genitori quando ci sgridavano per la bomba esplosa nella nostra cameretta.
Così, il disordine del Messy Middle viene arginato in due macro categorie: esplorazione – in cui l’utente cerca informazioni su prodotti e brand – e valutazione – in cui si vagliano le opzioni e si restringe il campo. E cosa influenza queste due fasi?
I bias, che nel Messy Middle sono sei:
- Euristica di categoria: brevi descrizioni del prodotto semplificano la decisione.
- Potere dell’immediatezza: più devo aspettare per un prodotto, meno lo voglio.
- Prova sociale: consigli e recensioni da altre persone come me.
- Bias di scarsità: un prodotto è più desiderabile se la sua disponibilità diminuisce.
- Bias di autorità: l’opinione di un esperto è influente.
- Potere della gratuità: un regalo incluso con un acquisto è un ottimo incentivo.
“Tieniti stretti gli amici e ancora più stretti i nemici”
In quanto distorsioni cognitive che deviano la razionalità nei processi mentali di giudizio, i bias possono sembrare dei “nemici” che mandano all’aria tutti i ragionamenti dei professionisti del marketing e della comunicazione.
In realtà, conoscerli significa trasformarli in strumenti potenti per conquistare o fidelizzare i clienti nelle fasi centrali del percorso d’acquisto.
Come? In Proxima, lo “strumento” utilizzato per esplorare e comprendere i bias è l’Engagement Design.
Conta più il viaggio che la destinazione
L’Engagement Design è un approccio che consiste nell’integrare le logiche del Design Thinking con uno Storytelling a cui l’utente possa appassionarsi, dando un nuovo significato al Customer Journey. Applichiamo le giuste leve psicologiche e valutiamo tutti i bias cognitivi coinvolti nel processo, rispettando e mettendo sempre al centro delle nostre ricerche le persone. E poi le accompagniamo attraverso il percorso-narrazione che abbiamo modellato per loro, tenendole per mano verso l’apice – o la base! – del funnel.
In fondo basta far notare il brand al potenziale cliente, ricordarglielo durante tutta la fase di esplorazione, applicare quello che le scienze comportamentali ci insegnano attraverso soluzioni creative flessibili e innovative e infine, giusto per essere sicuri, avvicinare il trigger all’acquisto, così da ridurre il tempo di esposizione ai brand concorrenti.
Facile, no? 😉