L’intelligenza artificiale ci ucciderà tutti?

Midjourney e ChatGPT sono arrivati nelle agenzie di comunicazione ma, forse, l’intelligenza artificiale non è così minacciosa. Scopriamo perché

Krizia Sorsci

Krizia Sorci

07/02/2023

Ingtelligenza artificiale

In qualsiasi piattaforma di community creativa, da LinkedIn alle macchinette del caffè in agenzia, non si parla d’altro.

L’intelligenza artificiale generativa si comporta come noi: non solo comprende i dati, pensa e agisce razionalmente, ma crea il miglior risultato elaborando le informazioni che ha a disposizione e, se sbaglia, autoapprende per migliorarsi. Quindi, la domanda sorge spontanea: davvero le AI generative ruberanno il lavoro a designer, illustratori, art director, copywriter, editor e content?

Per capirlo, vediamone alcune. Perché se è vero che Open AI è sempre più utilizzato nei processi di creazione di contenuti, è anche vero che si ha paura solo di ciò che non si conosce.

  • MIDJOURNEY: dato “in pasto” al pubblico in versione beta a luglio 2022, è un software text to edit, ossia trasforma una richiesta testuale in un’illustrazione strafiga.
  • CHATGPT: acronimo di Chat Generative Pre-trained Transformer, è il chatbot più famoso del momento – non a caso è spesso in sovraccarico – in grado di rispondere alle domande con testi di vario genere.
  • POINT-E: tool in versione open-source, crea immagini tridimensionali.
  • COPY.AI: piattaforma di creazione di contenuti per il web “addestrata” su milioni di articoli in molte lingue. Basta scegliere la tipologia di testo, contestualizzare e SBAM. Anche se, ammettiamolo: a volte toppa alla grande.
  • MAKE-A-VIDEO: trasforma istruzioni testuali in clip video in alta qualità utilizzando immagini con descrizioni per apprendere come viene descritto il mondo.
  • GITHUB COPILOT: genera stringhe di codice per aiutare i software developers a scrivere, migliorare e correggere, riducendo le ore dedicate a un progetto.

Potremmo continuare all’infinito, questi tool si moltiplicano a vista d’occhio addirittura prevedendo le nostre mosse o interagendo anche tra loro (qui se siete ancora nel loop), ma andiamo sul pratico, vi va?

Alcuni brand hanno provato a usare l’AI scatenando le reazioni più disparate: da chi è rimasto affascinato a chi si è indignato, passando per chi ha messo un like continuando a scrollare senza accorgersi di nulla. Altri, invece, l’hanno usata a loro vantaggio in modo meno classico e molto più interessante.

Certo, ci sono ancora bilioni di nodi etici sull’uso dell’intelligenza artificiale generativa: come educare la piattaforma e filtrare contenuti dannosi (secondo un’indagine del Time in un modo non proprio carino), come distinguere un contenuto “umano” da uno creato artificialmente (ci sta lavorando un universitario americano), di chi è la proprietà intellettuale del contenuto prodotto, come “democratizzare” l’AI per renderla alla portata di tutti, ma soprattutto se alcune capacità umane verranno davvero svalutate o perse completamente perché rimpiazzate da questa tecnologia.

La risposta potrebbe non essere in un tweet di Elon Musk, ma in un saggio del 1890 di Oscar Wilde per il Fortnightly Review: “L’individuo nella società socialista”.

Voi penserete, ma che c’entra il “padre” di Dorian Gray con DALL-E2 e deep learning?

…c’è qualcosa di tragico nel fatto che non appena l’uomo ha inventato le macchine per esserne servito, egli ha cominciato ad essere affamato. Questo, naturalmente, è il risultato del nostro sistema di proprietà e del conseguente sistema di concorrenza. Un uomo possiede una macchina che fa il lavoro di 500 uomini. 500 uomini sono, per conseguenza, buttati sul lastrico. (…) Se la proprietà della macchina fosse di tutti, ognuno ne godrebbe i benefici. (…) Tutto il lavoro non intellettuale, il lavoro monotono, noioso, tutto il lavoro che ha rapporto con cose spiacevoli dovrà essere fatto dalla macchina. (…) Attualmente la macchina fa concorrenza all’uomo, ma in condizioni normali la macchina dovrà servire all’uomo. (…) essi godranno di un piacevole ozio, grazie al quale potranno meditare e concepire cose belle e meravigliose per la loro gioia e la gioia di tutti. (…) Utopia? Una mappa del mondo che non include il paese dell’Utopia non vale neppure un’occhiata, perché lascia fuori il solo paese al quale l’umanità abbia sempre approdato. E quando l’umanità vi getta le ancore, scorgendo immediatamente un’utopia migliore, spiega di nuovo la vela. Il progresso è la realizzazione dell’Utopia.

Quindi, ok: neanche Wilde o Dick, Orwell e Asimov avrebbero mai potuto immaginare un futuro in cui un’Intelligenza Artificiale modifica i selfie in versione anime per condividerli sui social.

Ma sul rapporto che, invece, una macchina in generale può avere con le professioni umane, c’era già un’opinione più che condivisibile: usiamola per ottimizzare i tempi, aumentare la produttività, ridurre i costi. Ma non per sostituirci, quanto piuttosto per darci la possibilità di concentrarci su mansioni più impattanti, come piace dire agli account. Impariamo a fare dell’AI uno strumento al nostro servizio e non un’arma per chi vuole risparmiare.
Come? Beh, ci arriveremo. D’altronde, siamo creativi o no?