LGBTQI+: dai moti di Stonewall ai brand “alleati”

Krizia Sorsci

Krizia Sorci

29/06/2022

LGBTI+: dai moti di stonewall ai brand “alleati”

Studi scientifici approfonditi ed eminenti ricercatori delle Università più prestigiose del mondo hanno dimostrato che dell’orientamento sessuale di una persona, non gliene dovrebbe fregare un bel niente a nessuno. Purtroppo, però, sappiamo bene che nella vita reale non è proprio così.

Per questo, la comunità LGBTQIAP+ (acronimo che continua a popolarsi di lettere ad indicare tutte le minoranze che non aderiscono agli standard del binarismo cisgender) ha bisogno di movimenti, idee e progetti che la aiutino nella battaglia alla conquista di pari opportunità e diritti civili.

Il Pride è uno di questi e, se non sapete cosa sia, basta guardarvi attorno in questi giorni.

Giugno è, infatti, il mese ufficiale che dà il via all’Onda Pride: una serie di manifestazioni e marce aperte a tutti, che travolge con entusiasmo l’Italia intera da Vipiteno a Portopalo di Capopassero. 

Il mese – che si è appena concluso ma senza stoppare le iniziative, previste fino a luglio inoltrato e anche a settembre – non è stato scelto a caso: è nel giugno del 1969 che Sylvia Rivera lancia una bottiglia contro la polizia durante l’ennesima irruzione al locale gay di New York “Stonewall Inn”. È l’inizio della rivoluzione, è l’inizio della liberazione.

Di anni dal ‘69 ne sono passati tanti e, oggi, anche i brand diventano “ally”.

Un alleato infatti è chi supporta una battaglia (anche se non ne viene direttamente toccato) schierandosi con orgoglio dalla parte giusta della storia E qui ne riportiamo qualche esempio:

  • Calvin Klein lo fa con la campagna This Is Love, dai testimonial semplici e genuini che condividono con il mondo la loro idea di famiglia.
  • Versace mette in campo due icone intramontabili: la stessa Donatella e Cher, con l’edizione limitata CHERSACE di cui parte dei proventi andranno a sostegno dell’associazione Gender Spectrum.
  • Vans difende la libertà di espressione proprio attraverso di essa, avvalendosi della collaborazione con diversi creativi.

Superga, Puma, Diesel, Levi’s, Apple e tantissimi altri rivisitano i loro prodotti più rappresentativi con capsule collection in edizione limitata.

Iniziative lodevoli e vere e proprie prese di posizione che costituiscono senza dubbio un dato positivo.

Anche se, in ogni bella storia c’è sempre un orco in agguato dietro l’angolo. Il nostro si chiama Rainbow Washing.

Le aziende hanno notato che la gente preferisce i brand sensibili alla tematica dell’inclusione.

A volte però il loro supporto è superficiale, contraddittorio e si limita a una semplice tattica piuttosto che a un supporto concreto nella società.

Fortunatamente i consumatori hanno l’impermeabile e riescono a distinguere una mossa strategica dal vero marketing inclusivo: insomma, è inutile ripulirsi se dopo ti aspetta uno shitstorm, no?