Comunicazione e disabilità: 6 modelli da smontare

Per comunicare meglio e cambiare il mondo una parola alla volta

Camilla Loperfido

Camilla Loperfido

07/03/2023

Comunicare la diversità e, nello specifico, la disabilità è una questione delicata, perché coinvolge una pluralità di persone, ognuna con la propria sensibilità.

Da dove partire per non sbagliare?

Fabrizio Acanfora, Neurodivergent Advocate, divulgatore, scrittore e conferenziere, docente universitario, (nonché pianista e clavicembalista), ci aiuta illustrando i 6 modelli narrativi della diversità da conoscere e smantellare:

1.Il modello del dolore

La disabilità è sofferenza. Ma chi lo dice? Questo tipo di approccio pietista non fa che appesantire la comunicazione e aumentare le distanze.

2. Infantilizzazione

Fateci caso: questo tipo di narrazione ha sempre bambine e bambini in primo piano. E gli adulti?

3.Il modello angelico

I bambini e le bambine poi sono sempre “speciali”, piccoli angeli… esiste una sorta di “purificazione” attraverso la sofferenza.

4.Il modello asessuato

Il modello angelico ci riporta a un altro stereotipo, quello dell’asessualità. D’altronde gli angeli non hanno sesso, vero?
La disabilità non è vista come attraente e di conseguenza è asessuata. Fino ad ora.
Qualcosa sta cambiando e questa campagna dello Ied di Milano realizzata per Durex e vincitrice del Clio Awards in New York, lo dimostra.

5.Inspiration porn

“No, non è un nuovo servizio di streaming per adulti, ma è la rappresentazione delle persone disabili come fonte di ispirazione sulla base della loro disabilità. È utilizzare le nostre vite come termine di paragone per spingere gli altri ad alzare le chiappe dal divano.
Se ce la fa lui o lei tu non hai scuse…”
Queste le parole di Marina Cuollo, scrittrice, speaker radiofonica, autrice di podcast e content creator, che parla di oggettivazione del corpo: “quando si parla di disabilità, il corpo viene sempre prima di noi in quanto persone”.

Comunicazione e disabilità: 6 modelli da smantellare

6.Paternalismo

Il paternalismo è qualsiasi azione di una persona che, attribuendosi un’autorità, interviene nelle decisioni di un individuo nel suo proprio interesse.
L’elemento fondamentale, affinché si parli di paternalismo, è proprio quel “nel suo proprio interesse”, l’intento benevolo che giustifica l’invasione del modo in cui desideriamo essere rappresentati nel mondo.” spiega Acanfora.

E voi, conoscevate questi modelli?

Alcuni possono sembrare banali, trappole da cui ci sentiamo al sicuro, in cui non rischieremmo mai di cadere, eppure mi verrebbe da dire che il paternalismo è lastricato di buone intenzioni!

Ad esempio, siamo sicuri che la parola inclusività sia davvero inclusiva?

Presuppone l’esistenza di un gruppo maggioritario che include e di uno minoritario che viene incluso (per grazia ricevuta 😅).
Vi ho messo in crisi, eh?
Allora che fare?

Pluralità, rispetto, autorappresentazione.

Il modo migliore per realizzare una comunicazione paritaria è co-progettarla insieme ai suoi destinatari, nel rispetto della pluralità, nell’ascolto e nella conoscenza, e favorendo l’autorappresentazione.

Perché se è vero che le parole creano mondi, “l’uso di un linguaggio appropriato nel descrivere la diversità può avere un impatto fondamentale nella formazione di una coscienza collettiva che accolga le differenze come parte di un tutto eterogeneo.